Philosophy

COLLAGE

L’artista Erika Garbin mostra nelle sue opere la seduzione tragica del vintage. Affascinata dai modelli estetici prettamente femminili degli anni 60, dalla minigonna al tacco a spillo, dallo smalto al cappello cotonato, l’artista archivia tutto ciò che nel contemporaneo è simile, per un ritorno di moda, a quegli anni. Tramite la tecnica del collage concepita unicamente come medium linguistico, l’artista decostruisce l’immagine pubblicitaria attraverso un sistema di selezione finalizzato alla rinascita visionaria di una nuova icona, dove il senso del grottesco e del tragico mimano l’euforia di quegli anni. Forbici, coltelli, cesoie alla mano e tutto viene spezzettato. L’immagine glamour subisce un trauma sottilmente celato dalla carta patinata, dai multicolor lucidi dei rossetti o dalle ciglia finte che cadono a terra come fiori recisi. L’opera, caratterizzata da un linguaggio pop, mette in crisi il suo stesso sistema. Tutto questo mondo, edulcorato nell’immagine, sembra non bastare più. La seduzione subisce un arresto tragico attraverso la mutilazione. Dice Boudleaire a proposito dell’arte che è piena di ardenti singhiozzi e che lui non concepisce un tipo di bellezza dove non ci sia dell’Infelicità. Forse è proprio questo che l’artista ha aggiunto nell’icona pop vintage: il senso disorientante della sua stessa bellezza.

IL RAMMENDO COME CURA

L’arte del cucire appartiene alla storia delle donne, allo sviluppo della loro identità sociale. Cucire, ricamare, rammendare erano doti necessarie alla vita della famiglia e attraverso le quali la donna esprimeva tutto il suo senso del bello anche nella miseria. Cucire non è solo un’azione di necessità ma è qualcosa di più profondo, di più carnale e simbolico. Cucire significa tenere uniti pezzi di stoffa diversi spesso usurati dal tempo, strappati, lisi, bucati; rammendare invece è l’estremo tentativo di recupero dell’oggetto, la sua storia e intimità celandone la lesione.
Una pratica d’altri tempi quando la società non era ancora bulimica di cose ma parsimoniosa nell’uso dei propri beni. Erika Garbin è un’artista, è una donna che s’interroga sui linguaggi che hanno caratterizzato l’identità femminile e ne recupera la storia. Attraverso il gesto simbolico di agire con la sottile trama del rammendo su manufatti stanchi e consumati dal tempo, l’artista cerca di coprire l’affanno dell’usura nella sua resa universalistica.
Non so se sia sufficiente un rammendo per coprire i vuoti di una storia logora di vita,  sicuramente esprime il tentativo di coprire le ferite che l’esperienza  lascia inevitabilmente su ogni cosa.
E allora ci sono i piatti rammendati, le pentole coperte da una guarnizione di trina che svolge un ruolo nuovo; evidenzia la stanchezza  più che nasconderla, mostra e sottolinea con segni di filo nero, la forza dell’impedimento e l’inadeguatezza .
Gli oggetti di riferimento per l’artista non appartengono solo alla vita di relazione e condivisione domestica ma si aprono ad un recupero della propria identità attraverso il ripristino a nuovo di grandi carte geografiche recuperate con il rammendo nelle pieghe corrose dal tempo.
La mente sembra aprirsi  ancora una volta al viaggio come spazio fisico e mentale di libertà. L’opera d’arte cerca in questo caso di ripristinare ciò che fu guastato  per recuperare il proprio destino originario fatto di fiducia nell’esperienza della vita e di avventura.

Nadia Melotti